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Sono Mauro Ferrari e progetto Campagne Elettorali

Mi occupo di comunicazione elettorale. In 25 anni di attività ho realizzato strategia e comunicazione per 32 campagne elettoriali, candidati sindaco, presidenti di Provincia, parlamentari della Repubblica, consiglieri comunali, consiglieri regionali. Tra di essi Giorgio Gori sindaco di Bergamo, Alberto Biancheri sindaco di Sanremo, Luigi Brugnaro sindaco di Venezia, Paola de Micheli oggi ministro alle infrastrutture, Giacomo Vaciago economista e sindaco di Piacenza, Roberto Reggi sindaco di Piacenza e Direttore del Demanio, Sergio Giordani sindaco di Padova.

Posizionamento, strategia e comunicazione in una campagna elettorale

Il mio lavoro corre su due livelli di consulenza: una riguarda il posizionamento della persona candidata, l’altra la strategia e il piano di comunicazione che si materializza in una timeline dove strumenti, azioni, eventi e media trovano una precisa collocazione nel tempo e consentono la creazione del budget di spesa della campagna.

Il lavoro sul candidato, con una metafora, consiste nel porgerlo al pubblico sotto il suo miglior profilo, evidenziando i suoi valori ed attutendo i suoi difetti.

Una fase importante nel lungo percorso di una campagna è la creazione dello slogan, del claim del candidato. Spesso definisco il mio lavoro con l’aggettivo «sartoriale» perché il claim deve davvero essere come un abito su misura per lui, deve assomigliargli e contenere a volte una promessa.

Alcuni slogan particolarmente efficaci sono ancora nella memoria degli elettori di alcune città dove ho fatto campagna elettorale, e questa è la migliore dimostrazione della loro efficacia.

Ma l’esperienza di campagna elettorale va ben oltre la consulenza «tecnica». È per me soprattutto un’esperienza di vita vissuta intensamente, un’opportunità per conoscere sempre nuove città, uno straordinario incontro con nuove persone.

Sì, il lato più bello di questo mestiere è proprio l’incontro, la condivisione dei piccoli drammi e delle grandi emozioni che sono la materia stessa di cui è fatta una campagna elettorale.

Finita la campagna ti resta un vuoto, riempito nel tempo dalle forti relazioni nate in quei momenti di vita personale e professionale così speciali.

Il claim package « Gori Sindaco – SemprePiùBergamo »
25 anni che realizzo campagne elettorali

I miei primi 25 anni di campagne elettorali

Sono passati in un lampo i miei venticinque anni di campagne elettorali, 32 sfide di strategia e comunicazione elettorale che mi hanno regalato 27 straordinarie vittorie che hanno aumentato la mia autostima e 5 amare sconfitte da cui ho imparato moltissimo.

La comunicazione in questi 25 anni è notevolmente cambiata nel linguaggio e nei media, ma per me è sempre stata fin dall’inizio la conversazione tra una persona che ha un progetto e un’altra che ha bisogni e speranze. Le fantastiche lezioni di Siegfried Vögele, guru planetario del direct marketing, mi hanno consegnato nei primi anni novanta gli strumenti, la sicurezza e la sensibilità per far dialogare questi due sconosciuti.

La campagna elettorale, direbbe Rostand, è un apostrofo roseo tra le parole «ti voto» e se la vivi con passione contiene tutto: paura, gioia, notti insonni, crescita, innovazione, amicizia ed emozioni indimenticabili.

Come progetto e gestisco le campagne elettorali

Le mie campagne elettorali partono mediamente 5 mesi prima del voto. Iniziano con un sondaggio e un focus group che generalmente affido ad Aldo Cristadoro di Twig di Bergamo.

I dati della ricerca mi forniscono il perimetro della sfida e il posizionamento del mio candidato.

A volte si di una ricandidatura di un sindaco uscente, a volte di un incumbent. Due casi molto differenti che comportano la scelta di differenti strategie.

Considerato il costante desiderio di cambiamento che in questi ultimi anni contagia gran parte degli elettori, nel tempo la vittoria di chi si ricandida è diventata a volte più complessa della campagna di un incumbent, anche perché i cittadini hanno mediamente la memoria corta e non è detto che siano pienamente consapevoli del lavoro svolto nei 5 anni precedenti dalla amministrazione uscente.

Inoltre è estremamente complesso realizzare un Bilancio di mandato chiaro ed esaustivo.

Considerata la bassa propensione a leggere documenti amministrativi, il mio sforzo costante è quello di creare un documento di sintesi agile nella lettura e arricchito di tantissime immagini significative.

Nel corso di questo tipo di progettazione mi rendo conto quanto sia invece importante utilizzare una comunicazione efficace quando si governa, piuttosto che rincorrere l’attenzione degli elettori in periodo di campagna. Un altro handicap che spesso riscontro è la mancanza di immagini relative alle cose realizzate, ma in qualche caso ho avuto il piacere invece di trovare addirittura dei timelapse che documentano con video alcune realizzazioni complesse.

Il mega pannello che documenta i 5 anni di realizzazioni affisso al Point Biancheri
Il dispenser per le schede di quartiere

La creazione di un programma elettorale

Nel corso degli ultimi anni ho affrontato e cominciato a risolvere il problema che un elettore, leggendo il programma del candidato, trovi raramente elementi di suo pieno interesse. Il problema dei programmi di governo è che sono rivolti a tutti e in quanto tali non rivolti praticamente a nessuno.

Ho sopperito da anni a questo problema introducendo per primo in Italia a Bergamo nel 2014, nella vincente campagna di Giorgio Gori, una doppia via di programma: un programma «global» rivolto a tutti (o nessuno) con i grandi temi di visione della città, e tanti programmi «local» in cui si affrontano e si promette di risolvere quella marea di piccoli problemi che riguardano i quartieri e le periferie delle città.

Il principio che mi ha guidato e continua guidarmi in questa ricerca si basa sulla considerazione che l’interesse di un elettore di quel dato quartiere è rivolto esclusivamente a capire come il candidato sindaco, ad esempio, possa risolvere i problemi che giornalmente gli vengono agli occhi affacciandosi dalla finestra di casa. Spesso si tratta di piccole cose risolvibili quasi a costo zero come sistemare un marciapiede e ripulire un’aiuola, piccole cose che posso essere però rilevanti per ottenere il suo voto.

Niente di straordinario: ho solo portato per primo nelle campagne elettorali il principio della segmentazione e della targetizzazione, potentemente presente da decenni nel marketing dei prodotti e dei servizi.

Banale, ma nessuno lo aveva ancora applicato alle campagne elettorali.

La ricerca è diventata una strategia precisa, utilizzata anche da Beppe Sala nella sua vincente campagna per diventare sindaco di Milano.

Su questa direttrice sto sperimentando con Twig di Bergamo anche l’utilizzo dei big data.

Diciamo che non devi avere paura di complicarti la vita perché più te la complichi lavorando nella direzione giusta, più ti crei armi di comunicazione che altri non hanno.

Un esempio di come si sta evolvendo questo progetto è ciò che stiamo facendo in una città campione.

Abbiamo sintetizzato in celle di excel l’elenco di oltre 300 punti di programma che sono taggati nelle colonne del foglio elettronico, in base al target a cui il progetto è sostanzialmente dedicato, creando alla fine una sorta di «configuratore» a cui tutti possono accedere per ricevere, dopo aver indicato il loro profilo di interessi e residenza di quartiere, la propria porzione mirata di programma.

La persona prima della politica

La maggior parte dei candidati che ho servito sono stati imprenditori, senza tessere di partito, anche se poi nella loro coalizione si potevano contare anche partiti tradizionali.

Gli elettori, quando si tratta di una carica «vicina» come quella di un sindaco, più che propendere per la scelta di un partito, valutano la personalità e la potenziale capacità della persona da cui vogliono essere amministrati. È per questo che di fatto il mio lavoro di comunicazione è circoscritto alla promozione del candidato e della sua lista civica, con il titolo in filigrana «Il mio partito è la mia città».

Gli abbracci con Brugnaro non mancano mai. Qui Luigi mi è venuto a trovare durante la difficile campagna di Napoli nel 2016
I tre rimorchiatori per il flashmob in laguna

La creatività nelle campagne elettorali

È importante, risolve problemi, accende interesse e attrae soprattutto le fasce più giovani, target fortemente strategico, ma ostico in tutte le campagne.

Ecco le mie considerazioni sulla creatività, e soprattutto come l’ho sempre vissuta.

Faccio parte di quella specie che alcuni chiamano «creativi». A seconda del tono di voce e dall’espressione del viso che noto quando qualcuno mi definisce così, capisco se che ho davanti una persona che mi ritiene un essere utile o tutto sommato inutile.

Il dubbio è legittimo perché credo che tutti (tranne i politici) abbiano una buone dose di creatività nel proprio dna. E’ un campo in cui nessuno al mondo eccelle realmente, quindi tutti possono competere alla grande.

La differenza è però che i creativi hanno un mare di tempo da dedicare alla coltivazione di quel piccolo appezzamento di cervello che attiene al inusuale e al nuovo.

Sì, esplorare il nuovo, il mai detto o fatto prima, o trovare una nuova combinazione di cose che prima non erano mai state accostate è un’esperienza stimolante e ti da l’illusione di restare giovane.

Sulle prime sei terrorizzato e pensi che questa volta non ce la farai, poi prendi fiducia e cominci il viaggio, pensi al contrario, poi pensi laterale, poi pensi da sotto, da sopra. Poi bevi un caffè e fai il giro dell’isolato, per strada vedi tutti i tuoi target che camminano, devi lavorare per farti capire da loro.

Se sei in seria difficoltà il metodo estremo è fare un bagno nella vasca come da bambino (sotto la doccia non vengono mai buone idee – è dimostrato). Quando poi, a tarda ora, la tv ha smesso di frastornarti di parole e immagini sempre uguali, il telefono non suona più, le persiane della famiglia al di là della strada cigolando si chiudono, resti serenamente solo nel silenzio e vai in vantaggio su tutti quelli del tuo meridiano. In quel momento i nodi cominciano a venire al pettine, il cuore si collega al cervello e dalla matita esce la madre di una serie di segni vivi. Allora ti devi fermare e andare a letto perchè sai che lì, a volte, il pilota automatico può accompagnarti dove da sveglio non ti è consentito arrivare.

Le idee (anche in una campagna elettorale) sono come gli gnocchi 

Mia madre era molto brava a fare gli gnocchi. Grazie a una proporzione aurea e difficilmente tramandabile di farina e patate, e per la delicatezza di quel sughetto di pomodoro fresco cotto per ore a fuoco bassissimo, riusciva ogni volta a stupirmi.

Ho seguito tante volte al suo fianco quella preparazione e la conosco tanto bene che posso persino usare la tecnica di cottura degli gnocchi come metafora: produrre idee è come cuocere i gnocchi, non c’è il tempo di cottura come la pasta, ma se fai le cose bene e con passione saranno loro ad affiorare.

Intanto a Bergamo